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I drammi ignoti

di Giovanni Verga

Casa Orlandi era tutta sottosopra. La contessina Bice si moriva di malattiadi languoredicevano gli uni: di mal sottiledicevano gli altri.Nella gran camera da lettosola quasi buia in tutto il quartiereilluminato come per una festala madrepallidissimaseduta accanto al lettodell'infermaaspettava la visita serale del dottoretenendo nella manofebbrile la mano scarna e ardente della figliuolaparlandole con quell'accentocarezzevole e quel falso sorriso con cui si cerca di rispondere allo sguardoinquieto e scrutatore dei gravemente infermi. Tristi colloqui che celavano sottol'apparenza della calma la preoccupazione di un morbo fatale da cui era statacolpita la madre della contessae che aveva minacciata lei stessa dopo lanascita di Bice - il ricordo delle cure inquiete e trepide di cui era statacircondata l'infanzia di quella bambina - delle prescrizioni severe dellascienza che aveva soffocato quasi la sua maternitàe scusato i primitraviamenti del maritomorto giovane di un male da decrepitidopo averagonizzato degli anni su di una poltrona. - Poi un altro sentimento che avevafatto rifiorire la sua giovinezzaappassita anzitempo fra quella cullaminacciata e quel marito di già cadavere prima di scendere nella tomba. Unaffetto profondo ed occultoinquietogelosoche si mischiava a tutte le suegioie mondanee sembrava fatto di quellee le raffinavale rendeva piùsottilipiù penetranticome una delicata voluttà che animava ogni cosaunabbigliamentoun monileuna festaun trionfo di donna elegante. - Persinoquell'altra nube sórta a un tratto minacciosa in quel cielo azzurrolamalattia della figliacome una ombra nera che dilatavasi da quei cortinaggipesanti ed inertie ingigantivasino a scontrarsi con degli altri giorni neri- la morte di sua madrel'agonia del maritola faccia grave e preoccupata diquel medico che era venuto un'altra voltail tic-tac di quella stessa pendolache riempiva tutta la stanzatutta la casadi una aspettativa lugubre. Leparole della madre e della figliache volevano sembrar gaie e spensieratemorivano nella semioscurità di quella vòlta altissima.Ad un tratto i campanelli elettrici squillarono nella lunga infilata disale sfavillanti e deserte. I servitori silenziosi si affrettavano senza farrumore dinanzi al dottoreil quale giungeva calmocol sorriso mentito inquell'attesa angosciosa. La contessa sirizzò senza poter dissimulare un tremito nervoso. -Buona sera! Un po' tardi! Finisco adesso il mio giro. E questa cara ammalatacome è stata? - S'era assiso di contro alletto; aveva fatto togliere la ventola alla lampada ed esaminava l'infermatenendo fra le dita bianche e grassocce il polso delicato e pallido dellafanciulla; ripeteva le solite domande. La contessa rispondeva con un lievetremito nervoso nella voce; Bice con monosillabi tronchisempre con quegliocchi lucenti e inquieti. Nelle sale accanto si succedevano i colpi dicampanello discretie la cameriera entrava in punta di piedi per sussurrareall'orecchio della signora il nome degli intimi che venivano a chieder notiziedell'inferma. Ad un tratto il dottore rizzòil capo. - Chi è arrivato adesso? -domandò con vivacità strana. - Il marcheseDanei - rispose la contessa. - La solitapozione per questa notte - continuò il medicocome se avesse dimenticato lasua domanda. - Osservare a che ora cadrà la febbre. Del resto nulla di nuovo.Bisogna dar tempo alla cura -. Ma nonlasciava il polso dell'inferma; fissando uno sguardo penetrante su la fanciullache aveva chinato gli occhi. La madre aspettava ansiosa. Un istante gli occhiardenti della figlia s'incontrarono con quelli di leie avvampò subitamente inviso. - Per caritàdottore! per carità! -supplicava la contessaaccompagnando il medico sino all'anticamerasenzabadare agli amici e ai parenti che aspettavano in un angolo del salonechiacchierando sottovoce. - Come ha trovata oggi la Bice? Mi dica la verità!- Nulla di nuovo - rispondeva lui. - La solita febbriciattolail solitosquilibrio nervoso... - Ma quando furono inun salottino appartatosi piantò ritto dinanzi alla contessae dissebruscamente: - La ragazza è innamorata diquesto signor Danei -. La contessa nonrispose sillaba. Solo impallidì orribilmentee per istinto si portò le manial petto. - Bisogna pensarci! - ribatté ilmedico con una certa rude franchezza. - Ora ne son certo. Il caso è grave.- Lui! - fu la prima parola che scappò alla madresenza sapere quel chesi dicesse. - Sì; il polso me l'ha detto.Lei non ha avuto alcun indizio? Non ha mai sospettato qualche cosa?- Mai!... Bice è così timida... così... -Il marchese viene spesso in casa? - Lapoverettasotto gli occhietti grigi di quell'uomo che assumeva l'importanzad'un giudicebalbettò: - Sì. - Noi altrimedici alle volte abbiamo cura d'anime - aggiunse il dottore sorridendo. - Forseè stato un bene che quel signore sia arrivato nel momento della mia visita.- Ma ogni speranza non è perdutadottore? Per l'amor di Dio!...- No... secondo i casi. Buona sera -. Lacontessa rimase un momento in quella stanzaquasi al buioasciugandosi colfazzoletto un lieve sudore che le umettava le tempie. Quando ripassò dalsalonerapidamenteguardò Danei in un cantonel crocchio degl'intimiesalutò tutti con un cenno del capo. - Bicefiglia mia! il dottore t'ha trovata meglio oggisai!- Sìmamma - rispose la fanciulla dolcementecon quella amaraindifferenza degli ammalati gravi che stringe il cuore.- Ci è di là delle visite per te. Vuoi vederli?- Chi c'è? - Ma tutti. La tua ziaAugustail signor Danei... Vuoi vederli? - Bicechiuse gli occhicome fosse stanca; e nell'ombracosì pallida com'erasivide un lieve rossore montarle alle guance. -Nomamma. Non voglio veder nessuno. - Attraversoquelle palpebre chiusedelicate come foglie di rosasentiva fisso su di lei losguardo angoscioso ed intenso della madre. All'improvviso riaprì gli occhiele buttò al collo quelle povere braccia magre e tremanti sotto la batistaconun moto indefinibile di confusionedi tenerezza e di sconforto.Madre e figlia si strinsero teneramentea lungosenza dir parolapiangendo entrambe delle lagrime che avrebbero voluto nascondersi.Ai parenti e agli amici che domandavano premurosi notizie dell'infermala contessa rispondeva come l'altre volteritta in mezzo al salonesenza poterdissimulare uno spasimo interno che di quando in quando le mozzava il respiro.Allorché tutti se ne furono andatirimasero faccia a facciaDanei e lei.Tante volte erano rimasti soli alcuni minuticome alloravicino a queltavoloa scambiare qualche parola di conforto e di speranzao assorti in unsilenzio che accomunava il loro pensiero e le loro anime nella stessapreoccupazione dolorosa; momenti tristi e carinei quali ella attingeva laforza e il coraggio di rientrare nell'atmosfera cupa e lugubre di quelle stanzed'inferma con un sorriso di incoraggiamento. Stettero alquanto senza aprirboccacon la fronte sulla mano. La contessa aveva tale espressione in tutta lasua personache Roberto non sapeva cosa dirle. Finalmente le stese la destra.Ella ritirò la sua. - SentiteRoberto...Ho da dirvi una cosa... una cosa da cui dipende tutta la sua vita -.Egli aspettavaserioun po' inquieto. -Mia figlia vi ama! - Danei rimasesbalorditoguardando la contessa che si era nascosta il viso tra le mani epiangeva dirottamente. - Ella!... Èimpossibile!... Guardate bene!... - No! Mel'ha detto il medico. Ed ora ne son certa. Vi ama da morirne...- Vi giuro!... Vi giuro che... - Loso. Vi credo. Non ho bisogno di cercare perché Bice vi amiRoberto!... -E si abbandonò sul divano. Robertoera commosso anche lui. Tentò di pigliarle la mano un'altra volta.Ella lo respinse dolcemente. - Anna!- No! - esclamò la madre con vivacità. Equelle lagrime silenziose pareva che le solcassero le guance delicate come degliannidegli anni di dolore e di castigo che sopravvenivano tutto a un trattonella sua esistenza spensierata. Il silenzio sembrava insormontabile. InfineRoberto mormorò: - Cosa volete chefaccia?... dite... - Ella lo guardòsmarritacon un'angoscia indicibile. E balbettò: -Non so!... non so!... Lasciatemi tornar da lei... Lasciatemi sola stasera... -Come rientrava nella camera dell'infermadall'ombra del cortinaggio gliocchi della figlia luccicavano ardentifissi su di leicon un lampoinconsciente che l'agghiacciò sulla soglia. -Mamma - chiese Bice - chi c'è ancora? -Nessunofiglia mia. - Ah!... Statti con meallora. Non mi lasciare -. E le teneva lemanitremante. - Povera bimba mia! Poveroamore! Guarirai prestosai! L'ha detto il medico. -Sì mamma. - E... e... sarai felice -.La figlia le fissava sempre in viso quello sguardo.- Sìmamma -. Poi chiuse gli occhiche sembravano nerinelle orbite incavate. Successe un mortale silenzio. Lamadre scrutava quel viso pallido e impenetrabile con uno sguardo ardentearrossendo e impallidendo a vicenda. Ad untratto si fece smorta come leie la chiamò con un'altra voce.- Bice! - Il petto della madre sicontraeva spasmodicamentecome se qualche cosa vi agonizzasse dentro. Poi sichinò sulla figliuolaposando la guancia febbrile su quell'altra guanciascarnae le mormorò nell'orecchiocon un soffio appena intellegibile:- Ami qualchedunofiglia mia? - Bicespalancò gli occhi all'improvvisotutta una fiamma in volto. Poicon quegliocchi sbarrati e quasi paurosifissi negli occhi pieni di lagrime della madrebalbettò con un accento ineffabile d'amarezza e quasi di rimprovero:- Oh mamma!... - Allora lasventuratasentendosi penetrare quella voce e quelle parole sino all'intimo delcuoreebbe il coraggio d'aggiungere: - Ilsignor Danei ha chiesto la tua mano. - Ohmamma! Oh mamma! - ripeteva la fanciulla con lo stesso accento supplichevole edolentestringendosi nelle coperte con un movimento intraducibile. - Ohmamma!... - La contessache sembrava anchelei nello smarrimento di un'agoniabiascicava: -Però... se tu non l'ami... se tu non l'ami... Di'!... -L'inferma ascoltava palpitanteansiosaagitando le labbra senzaproferir parolacon gli occhi spalancatienormi sul volto rifinitofissinegli occhi della madre. Tutt'a un trattocome quella si chinava verso di leil'avvinse al collo con le braccia tremantistringendola con una forza chediceva tutto. La madrein un impeto d'amoredisperatosinghiozzava: - Guarirai!guarirai! - E tremava convulsivamente.Il giorno dopola contessa aspettava Danei nel suo gabinettinosedutaaccanto al caminettostendendo verso il fuoco le mani così bianche chesembravano non avesse più una goccia di sangue nelle venecon gli occhi fissisulla fiamma. Quanti pensieriquante visioniquanti ricordipassavano dinanzia quegli occhi! Il primo turbamento che l'aveva sorpresa al sentire annunziarela solita visita di lui- il silenzio che era caduto all'improvviso fra loroduee la parola che egli le aveva sussurrato all'orecchioabbassando la voceed il capo- il batticuore delizioso che le aveva imporporato le gote ed ilseno quando egli l'aveva aspettata nel vestibolo dell'Apollo per vederlapassarebiondanella mantellina di raso bianco. - Poi le lunghe fantasticheriecolor di rosaa quel medesimo postole gioie trepide e intensele attesefebbrilinelle ore in cui Bice prendeva la sua lezione di musica o di disegno.Oraallo squillare del campanello si rizzò con un tremito nervoso. Tornò asederecalmacon le mani in croce sulle ginocchia.Il marchese si fermò esitante sull'uscio. Ella gli stese la mano cheardevaevitando di guardarlo. Siccome Daneinon sapendo che pensarechiedevadella Bicerispose dopo un breve silenzio: -La sua vita è nelle vostre mani. - Perl'amor di DioAnna!.. Voi v'ingannate!... - esclamò egli - Bice s'inganna!...Non può essere! non può essere!... - Lacontessa scosse il capo tristamente. - Nonon m'inganno! Me l'ha confessato ella stessa... il dottore dice che la suaguarigione dipende... da ciò!... - Da checosa?... - Per tutta risposta ella glifissò in volto gli occhi arsi di febbre. Allorasotto quello sguardola primaparola di luiimpetuosaquasi bruscafu: -Oh!... no!... - Ella giunse le mani.- NoAnna; pensateci bene... Non può essere!... Voi v'ingannate! -ripeteva Daneiagitato anche lui violentemente. Lelagrime le soffocarono la voce in gola. Poi stese le mani a Daneisenza dirnullacome nei bei tempi trascorsi. Soltanto quegli occhi che lo fissavano conun'espressione di preghiera e d'angoscia straziante erano diventati tutt'altriin ventiquattr'ore. Roberto chinò il capoal pari di lei. Entrambi erano due cuorionesti e lealinel significato mondano della parolanel senso di poter sempreaffrontare a fronte aperta qualsiasi conseguenza di ogni loro azione. Perché lafatalità facesse abbassare quelle teste alte e fierebisognava che le avessemesse per la prima volta di fronte a un fatto che rovesciava bruscamente tuttala loro logica e ne mostrava la falsità. La rivelazione della contessa avevasbalordito Danei; ora ripensandoci ne era spaventato; e in quel contrastod'affetti e di doveri combattentisi sotto il riserbo imposto ad entrambi dallarispettiva posizione che li rendeva più difficilisi trovava imbarazzato.Parlò di loro duedel passatodell'avvenire che gli faceva pauracercando lefrasi e le parole per scivolare fra tanti argomenti scabrosiper non urtare oferire alcuno di quei sentimenti così delicati e complessi.- Pensateci beneAnna! Questo matrimonio è impossibile! -Ella non sapeva che dire. Balbettava solo: - Mia figlia! mia figlia!- Ebbene... Volete che parta?... che mi allontani per sempre?... Sapetequal sacrifizio io farei!... Ebbenelo volete? -Ella ne morrebbe -. Roberto esitòprimad'affrontare l'ultimo argomento. Poi mormoròabbassando la voce:- Allora... allora non resta che confessarle ogni cosa... -La madre s'irrigidì in una contrazione nervosacon le dita increspatesul bracciuolo della poltrona. E rispose con voce sordachinando il capo:- Lo sa!... Lo sospetta!... - Enondimeno?... - riprese Danei dopo un breve silenzio.- Ne sarebbe morta... Le ho fatto credere che s'ingannava.- E lo ha creduto? - Oh! - esclamòla contessa con un triste sorriso. - L'amore è credulo... Lo ha creduto!- E voi? - chiese Roberto con un tremito che non poté dissimulare nellavoce. - Io ho già tutto sacrificato a miafiglia -. Poi gli stese la manoesoggiunse: - Sentite com'è calma?- Siete certa che sarà sempre così calma? -Ella rispose: - Sempre! -E sentì freddo sulla nucaalla radice dei capelli.Si alzò vacillantee si strinse il capo di lui sul petto.- AscoltateRobertoora è vostra madre che vi abbraccia! Anna èmorta. Pensate a mia figlia! Amatela per me e per lei. Ella è pura e bella comeun angelo. La felicità la farà rifiorire. Voi l'amerete come non avete maiamato... Dimenticherete ogni cosa... siate tranquillo!... -Roberto era pallido. Il matrimoniodella contessina Bice fu annunciato officialmente pochi giorni dopo che ellaentrò in convalescenza. Amici e parenti venivano a congratularsi dei duefortunati avvenimenti in una volta. Il marchese Danei era un partitoconvenientissimo; e se un qualche indiscreto arrischiò delle osservazioni sulladisparità degli annio altrofu messo subito a tacere dal coro unanime dellesignore che si sollevava scandalizzato. La fanciulla risanava davveroraggiantedi una vita nuovacolla cecitàcolla credulitàcoll'obliocoll'egoismodella felicità che espandeva nel seno della madrela quale sorrideva. Ildottore si fregava le maniborbottando: -Io non ci ho alcun merito. Io faccio come Pilato. Questa benedetta gioventù sene ride della scienza. Io non ci ho altro da prescrivere qui: Recipe. -L'inverno a San Remo o a Napoli. L'estate a Pegli o a Livorno. Una scappata aRoma pei balli del carnevalee un bel maschiotto alla fine della cura -.La contessaalla figlia che avrebbe voluto condurla seco rispondeva:- No. Io e il dottore non ci abbiamo più nulla a fare in questo viaggio.Tutta la mia pretesa è che siate felici! - Esorrideva agli sposidel suo sorriso un po' stanco. La figlia alle volte avevainconsciamente degli sguardi acuti che correvano come un lampo dal fidanzatoalla madre. A quelle parolesenza saper perché l'abbracciò strettanascondendole il viso in seno. La contessadiceva che quella era l'ultima sua festa; e le sue spalle bianche e delicate simostrarono un'ultima volta alla cerimonia dello sposalizionelle salescintillanti di lumie affollate di amici e parenti come nei giorni più tristiin cui venivano a chieder notizie della Bice. Roberto le baciò la mano senzapoter dissimulare un certo turbamento. Poiquando l'ultima carrozza fu partitae non rimase a piè dello scalone che il piccolo coupé del marchesee lacarretta inglese che portava il bagaglio degli sposimentre Bice era andata acambiarsi d'abitorimasero soli un momentoRoberto e lei.- Fatela feliceRoberto -. Danei eranervosoabbottonava macchinalmente il suo ulster da viaggiosi cavava etornava a infilarsi i guanti. Non disse una parola.Madre e figlia si abbracciarono strettestrettelungamente. Poi lacontessa respinse quasi bruscamente la figliuoladicendo:- È tardi. Perdete il treno. Andate! andate! -La contessa Orlandi aveva tossito un poco quell'invernoe di tanto intanto aveva avuto bisogno del medico. Costuionde non spaventarlala sgridavaperché passava le mattinate in chiesa a salvarsi l'anima e perdere il corpo.Parlava di semplici raffreddori. In realtà entrambi pensavano ad altroad unaminaccia più gravee sapevano d'ingannarsi a vicenda. Bice scriveva che stavabeneche era contentache era felicee più tardi accennò anche velatamentea un altro avvenimento che avrebbe affrettato il loro ritorno prima dell'anno.La contessa telegrafò di non farne nulladi aspettare l'avvenimento làdove si trovavano. Ella era inquieta; temeva lo strapazzo del viaggio. Piuttostosarebbe corsa lei a raggiungerliall'ultimo momento. Però tardava sempre. Itelegrammi si succedevano. Infine Roberto ebbe un dispaccio. - Arrivo stasera -.Il viaggio le parve eterno. Ma allorché udì il fischio dell'arrivo sisentì mancare; ebbe quasi paura. La primapersona che vide sul marciapiede della stazionein mezzo alla follafuRobertoche l'aspettavasolo. Ella si strinse con forza il manicotto sulcuorequasi le mancasse il respiro. Roberto le baciò la manosul guantoepassarono insieme pel cancello. Intanto balbettava:- Bice? come sta? - Fuori era fermoil piccolo coupé del marchesecol servitore accanto allo sportello aperto.Doveva montare insieme a lui! Ella si stringeva nel suo cantucciochiusa nellasua pellicciacol velo sul viso. - Bicesarà tanto contenta! - mormorava lui - tanto contenta! - Ripeteva sempre lastessa cosacol viso rivolto allo sportelloimpaziente d'arrivare. Sfilavanole case e le botteghe illuminate. Ad un tratto successe l'oscuritànell'attraversare una piazza. Tutti e due istintivamente si scostaronoetacquero. Poi si udì rimbombare il rumoredella carrozza sotto la vòlta dell'androne. Bice era corsa a piedi della scala;si buttò al collo della mamma con un diluvio di carezze e di parole sconnesse.Era sofferentee Roberto le diede il braccio per salire le scale. La madreveniva dopoun po' stanca anch'essa e soffocata dalla sua gran pelliccia.Quando furono nel salonein piena luceella fu colpita dall'aspetto diBicedalla veste da camera discintadalle mani venate d'azzurro posate suibracciuolidal viso sbattuto ma raggiante di una felicità serena. Roberto sichinava per parlarle all'orecchio. Senza avvedersene s'erano appartati alquantovicino al parafuoco che li colorava di un'aureola rosata.Allora alla donna lasciata in disparte sfuggì un'occhiata rapida escintillante come una saetta. Un momentorimasero sole madre e figlia. Dopo avere esitato alquantola madre chiese:- Sei felice? - Sìmamma!... Tantofelice! - Anna sola sembrava calma.Allorché rimasero faccia a faccia con Robertoed egli parlavaparlavaquasiavesse paura del silenzio- ella ascoltava col sorriso distrattosprofondatanella poltrona accanto al fuoco che lumeggiava d'azzurro i capelli nericolfine profilo opaco inquadrato nella luce al pari di un cammeo.Una sera che Bice si era ritirata prima del solitoe Roberto era restatocon la contessa nel salone a farle compagniail silenzio piombò all'improvvisofra di loro. La contessa si alzòe glidiede la buona notte semplicementeaccusando un po' di stanchezza anche lei.Roberto era turbato parimente. In questa apparve Bicecome un fantasmavestitadel suo accappatoio bianco. Madre e figliasi guardarono: e la prima rimase senza parolaquasi senza fiato. Robertoilmeno imbarazzato di tutti e tredisse: -Che haiBice? - Nulla... Non potevodormire... che ora è? - Non è tardi. Tuamadre voleva ritirarsi perché è stanca... -Miei cari - disse questa con un mesto sorriso. - Alla mia età... Pensatecibene... - E come Robertoper abitudinefaceva un gesto... essa rialzò alquanto i capelli sulle tempieper mostrarequelli di sottotutti bianchi. - Ohè unpezzo! - rispose all'atto di sorpresa di Bice. Questacon uno slancio affettuosole buttò le braccia al colloe le cacciò la testain senosenza dir nulla. Però le mani della madre sentivano che tremava tutta.Roberto era presso il caminoin silenziocol capo un po' curvocomegli pesasse qualche cosa sull'animae sentisse di essere di troppo fra quelledue donnein tal momento. Quando i suoi occhi s'incontrarono con quelli di Annaarrossì; e fu quella l'unica volta che fra di loro divampasse un ricordo delpassato! - Ora son nonna! - osservòsorridendo la contessaritta di faccia allo specchioe lisciandosi i capellicon le mani bianche. E rivolgendosi verso di lorostese semplicemente le mani atutti e due. Roberto gliele baciòchinando profondamente il capo. Bice ditanto in tanto le stringeva la destra nervosamente; ed ella sentiva quellastretta penetrarle sino al cuorecome una fitta. Allorquandofu sola nella sua stanzasi buttò ginocchioni davanti al crocifissocol capofra le bracciae la luce della candela solitaria le baciò a lungo la nucabianca e delicata. Passò due settimane incasa della figliadove si sentiva estraneaaccanto a Biceaccanto a lui!Com'erano mutati! quando egli le dava il braccio per andare a tavola; quandoBice diceva- Mamma! - senza guardarlae arrossiva se parlava di suo marito! -Dimenticheretesiate tranquillo! - ella avea detto a Roberto. E per dimenticareera bastato!... Ahi! Ella chiudeva gli occhi rabbrividendo a quel pensiero.Qualche voltaall'improvvisosentiva degli impeti di colleraquasi di gelosiapazza. Gli aveva tolto persino il cuore di sua figlia! Tutto gli aveva toltoquell'uomo! Una sera avvenne un grantrambusto nella casa; cocchieri e servitori spediti in furia; medici chearrivavano frettolosied entravano difilato nella camera di Bice.Ad intervalli succedeva un gran silenzio. C'era una bugia sola cherischiarava il salone. Tutt'a un tratto si udì un grido: un grido strazianteche risonò dentro di lei come uno schianto. E non poteva pregare nemmeno. Lasua ragione se ne andava dietro quei passi che si udivano frettolosiinanticamerapel corridoioper le scale. PiùtardiRoberto bussò discretamente all'uscio di leiella proferì: - Entrate!- con voce rauca. Era commosso e raggianteinsieme. Non l'avea mai visto così. Volevano che venisse a vedere il neonato;che fosse la madrina; che so io... - No! - risposecon la febbre negli occhi.Poscia accorse nella camera della figliaconvulsa. Bice era supina sullettobiancaestenuatacon gli occhi socchiusi e ancora umidie i dentistretti dall'angoscia. La madre si sentiva dentro di sé questo ruggito:- Voi me l'avete uccisa voi! - Venneil giorno del battesimonella chiesa tutta scintillante di lumi. La contessaaveva poi consentito a fare da madrina. Se alle volte usciva in qualchestranezzadovevano accusarne lo stato di salute della povera nonna; dicevasorridendo: - Anche le nonne hanno dei nervi! - Quando le tolsero di dosso lapellicciasotto i merletti e i diamanti dell'abito di galaparve di vedere unospettro. Gli omeri aguzzi mal dissimulatie gli occhi arsi di febbrein fondoalle occhiaie lividesul volto solcato. La bambina fu battezzata Carlotta Danei.Bice andava rimettendosi lentamente. Era un organismo delicato chevibrava al minimo urto. Nei lunghi giorni di convalescenza le venivano deipensieri neridegli impeti di irritazione sorda ed ingiustadegli scoramentiimprovvisicome se tutti l'abbandonassero. Allora guardava mutacogli occhinerie diceva al marito con un accento indefinibile:- Perché esci? Dove vai? Perché mi lasci sola? -La sera del battesimoal vedere i pizzi e i diamanti della mammaavevamormoratostringendosi nelle coperteaggrottando le cigliacon uno stranoaccento di rancore quasi selvaggio: - Comesei bella! - E poiuna voltanella febbrecon gli occhi accesi: - Quando partirai? - Robertoabbassava il capoe la contessa si sentiva soffocare. Alcuni istanti dopodietro alle cortine del lettosi portò il fazzoletto alle labbrae lo nascosein fretta macchiato di sangue. Poscia Bicetornava in sée pareva chiedere perdono a tutti con le sue parole e le carezzeaffettuose. Appena cominciò a lasciare il lettosua madre fissò il giornodella partenza. Bice le rivolse uno sguardo scrutatore e impallidì chinandotosto gli occhi. Quando fu l'ultimo momentoalla stazioneerano commosse tuttee dueabbracciandosi senza dire una parolacome si lasciassero per sempre.La contessa arrivò tardila seraaffrantaintirizzita dal freddo. Lacasa vasta e deserta era fredda anch'essacol gran fuoco accesocon le lumieresolitarieper tutta l'infilata delle sale. Annas'era ammalata. Prima accusò la stanchezza del viaggiopoi le commozionio uncolpo d'aria. Stette circa tre mesi fra letto e lettuccioil medico tornò avenire tutti i giorni. - Non è nulla -ripeteva lei - oggi mi sento meglio. Domani mi alzerò -.Alla figlia scriveva regolarmentee non aveva voluto che il dottore lainformasse della malattia. Verso ilprincipio dell'autunno parve migliorare davvero. Ad un tratto ricaddee in duegiorni peggiorò in guisa che il dottore si credette in debito di telegrafare algenero. Roberto arrivò il giorno dopoagitatissimo.- Bice è in stato interessante - disse al dottoreche vide per il primo- e ho temuto che questa notizia... - Hafatto bene. Anche la salute della marchesa ha bisogno di molti riguardi.... Èuna malattia gentilizia... Io stesso non avrei preso su di me questaresponsabilità se non fosse stata... la gravità del caso...- Molto grave? - balbettò Roberto. Ildottore scosse il capo. - Le hanno portatooggi il viatico -. Per tutte le stanzeinfatti vagava un odore di incenso. - Odore di morte - diceva il medicovintonella camera della moribonda da un odore più forte di etereacutopenetranteche sembrava andare al cuore. Il letto bianco impallidiva in fondo alla vastaalcova oscura spalancata. Roberto siarrestò su quella sogliasconvoltoe fece un passo indietro.- Non vuol vederla? - chiese la vecchia cameriera.- No... Non so... Bisognerebbe avvertirla... -La cameriera si accostò al lettoe si chinò sulla moribonda. Poi lefece un segno con la mano. Anna era immobilecon gli occhi spalancatidelleombre livide sulle guance e alle tempie. Aipiedi del letto stava una suora vestita di color bruno. La cameriera rittadall'altro latopiangendo. - Bice... -balbettava Roberto - Bice... - E non potevaaggiunger altrosoffocato. Ella non rispondevanon fiatava nemmenosempre congli occhi apertifissiimmobili. Roberto si volse al dottoreconun'interrogazione d'angoscia repressa negli occhi. Questiscosse il capo. Roberto lentamente cadde suiginocchiquasi gli fossero mancate le gambe. Tutt'a un tratto la pendola sonòla mezza; egli tornò a rizzarsi in piedi con un sussulto.La suora si era alzatae la cameriera si accostava al lettocolfazzoletto agli occhi. Ma la moribonda non si era mossa. Il medico le teneva ilpolso con gli occhi fissi su di lei. Da lì a poco come un'ombra le passò sulviso. Roberto sentì una mano che loprendeva per il braccioe lo conduceva via dolcemente.